Harry martinson (1904-1978)
Da Kåserier på allvar (1984, postumo)
Ancora ci restano il canto dell’erba e il liuto del grillo laggiù in campagna, dove il riccio grigio ogni sera timidamente attraversa la strada. Ma sentiamo un suono lontano, come un suono nell’etere, come un fischio stridente di treno. E sappiamo che nel giro di cento anni dovremo prendere posizione: nei confronti della Città, venendone risucchiati, come il giardino di una casa, o scendendo a patti con essa: venendo Industrializzati.
Ma quando non ci sarà più posto perché il riccio attraversi la strada (poiché difficilmente i ricci sterminati vi riescono), perché il grillo incordi il suo liuto nel fieno – allora non voglio vivere. O magari partirò per l’inaccessibile Territorio di Acre, presso le sorgenti del Rio delle Amazzoni – a meno che prima di allora non vi abbiano costruito una fabbrica di stivali.
Da Resor utan mål – Kap Farväl! (1932-33)
Come stalloni pronti alla partenza, la gente, in tutto il mondo, scalpita sulla sua terra. È un infinito desiderio di mettersi in moto che ara i campi del contadino […] Io stesso ho ripetuto il movimento del contadino durante l’aratura, mentre dinnanzi ai macchinari nella sala caldaie mi lasciavo alle spalle miglia su miglia sul pavimento d’acciaio tra un’infornata di carbone e l’altra, avanti e indietro, avanti e indietro. È la camminata nel solco dell’aratro trasferita su un altro posto di lavoro. Così dunque l’uomo interpreta con le gambe e i piedi il proprio interiore desiderio di viaggiare. Le gambe, apostoli dell’irrequietezza, esclamano: “vendi tutto quel che possiedi e vieni con me.” E allora forse egli inizierà la sua peregrinazione avanti e indietro su un pavimento di dodici metri quadrati, quattro passi avanti e indietro nella cella di una prigione, o attraversando con lo zaino in spalla il Sahara.
Da Tuvor: Kärrets mossor (1973)
I muschi della palude si abbeverano al ruscello
finché questo non abbassa sempre più la voce.
Il suo gorgogliare d’acqua smorza
in un bisbigliare estivo, sopraffatto dalle zanzare.
Tra poco passerà alla lingua dei segni
che ogni ciuffo d’erba conosce.
Tra poco il suo intento nascosto sboccerà
in succosi trifogli d’acqua.
Da Eldskurarens sång
Vieni e impara a ingoiare i chiodi,
vieni e impara a mangiare la brace.
Abituati ai raggi gamma,
preparati per la miseria dell’epoca.
Senti come tutto scivola verso il fuoco.
Tieni stretto il cappuccio di amianto.
Preparati per i tempi terribili
che Cassandra ad alta voce ha lamentato.
(trad. Andrea Berardini)
Ancora ci restano il canto dell’erba e il liuto del grillo laggiù in campagna, dove il riccio grigio ogni sera timidamente attraversa la strada. Ma sentiamo un suono lontano, come un suono nell’etere, come un fischio stridente di treno. E sappiamo che nel giro di cento anni dovremo prendere posizione: nei confronti della Città, venendone risucchiati, come il giardino di una casa, o scendendo a patti con essa: venendo Industrializzati.
Ma quando non ci sarà più posto perché il riccio attraversi la strada (poiché difficilmente i ricci sterminati vi riescono), perché il grillo incordi il suo liuto nel fieno – allora non voglio vivere. O magari partirò per l’inaccessibile Territorio di Acre, presso le sorgenti del Rio delle Amazzoni – a meno che prima di allora non vi abbiano costruito una fabbrica di stivali.
Da Resor utan mål – Kap Farväl! (1932-33)
Come stalloni pronti alla partenza, la gente, in tutto il mondo, scalpita sulla sua terra. È un infinito desiderio di mettersi in moto che ara i campi del contadino […] Io stesso ho ripetuto il movimento del contadino durante l’aratura, mentre dinnanzi ai macchinari nella sala caldaie mi lasciavo alle spalle miglia su miglia sul pavimento d’acciaio tra un’infornata di carbone e l’altra, avanti e indietro, avanti e indietro. È la camminata nel solco dell’aratro trasferita su un altro posto di lavoro. Così dunque l’uomo interpreta con le gambe e i piedi il proprio interiore desiderio di viaggiare. Le gambe, apostoli dell’irrequietezza, esclamano: “vendi tutto quel che possiedi e vieni con me.” E allora forse egli inizierà la sua peregrinazione avanti e indietro su un pavimento di dodici metri quadrati, quattro passi avanti e indietro nella cella di una prigione, o attraversando con lo zaino in spalla il Sahara.
Da Tuvor: Kärrets mossor (1973)
I muschi della palude si abbeverano al ruscello
finché questo non abbassa sempre più la voce.
Il suo gorgogliare d’acqua smorza
in un bisbigliare estivo, sopraffatto dalle zanzare.
Tra poco passerà alla lingua dei segni
che ogni ciuffo d’erba conosce.
Tra poco il suo intento nascosto sboccerà
in succosi trifogli d’acqua.
Da Eldskurarens sång
Vieni e impara a ingoiare i chiodi,
vieni e impara a mangiare la brace.
Abituati ai raggi gamma,
preparati per la miseria dell’epoca.
Senti come tutto scivola verso il fuoco.
Tieni stretto il cappuccio di amianto.
Preparati per i tempi terribili
che Cassandra ad alta voce ha lamentato.
(trad. Andrea Berardini)